Luigi Corvaglia
A volte le cose non sono come appaiono. A volte sono esattamente il contrario di come appaiono. L'excursus in sette parti sulla geopolitica delle sette che qui si è proposto ha, per esempio, mostrato come da tempo sia diffusa una narrativa che vuole i difensori di quei totalitarismi non territoriali che sono le "sette" quali paladini dei diritti civili e avvocati della libertà religiosa. Gli studiosi e le associazioni che denunciano invece l'operato dei culti abusanti vengono descritti come ostili alla libertà religiosa ed alla autodeterminazione degli individui. Chi ha letto il report sa bene quanto sia paradossale quest'ultima accusa alla luce della conoscenza di quale sia il retroterra politico e culturale da cui essa emana (parte terza, quarta, quinta e settima). Come nel film Face/Off, il "buono" ha assunto la faccia del "cattivo", e viceversa. Che un'opera di influenza possa portare a questo esito sviando il pubblico poco accorto è facilmente comprensibile. Al lettore rimane però probabilmente ancora insoddisfatta la domanda di come possano alcuni apologeti dei culti che si professano credenti di versioni non ecumeniche della propria fede difendere le altre fedi, o come possa il CESNUR, una organizzazione nata come emanazione di un gruppo cattolico tradizionalista come Alleanza Cattolica (parte quarta) , farsi cabina di regia dell'azione coordinata della rete internazionale a difesa dei culti più lontani dal cattolicesimo. Ritengo di poter dare un contributo, almeno parziale, alla soluzione di questo paradosso facendo riferimento a tre concezioni - nello specifico, ad una dottrina, una teoria ed una idea politica - che sono i riferimenti culturali della dirigenza del centro studi di Torino. Di seguito una sintetica descrizione dei tre complessi di nozioni.
1. La Teoria dell’Economia Religiosa
Rodney Stark è un tuttologo statunitense, che promuove vivacemente il darwinismo in tutti i campi tranne l’unico che gli è proprio, la biologia (secondo lui, l’evoluzione è un’invenzione per screditare la religione).
Così condensa il personaggio il blogger Miguel Martinez. Una sintesi efficace e salace che si arricchisce nelle righe seguenti:
La principale preoccupazione di Rodney Stark consiste nel giustificare teologicamente il neoliberismo, come si evince dal trionfale titolo di un suo libro, The Victory of Reason: How Christianity Led to Freedom, Capitalism, and Western Success (“La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha portato alla libertà, al capitalismo e al successo dell’Occidente”). Un concetto che potremmo tradurre così, “se ti hanno pignorato la casa, è perché lo ha voluto Gesù”.
L’autore è arguto e sottolinea piuttosto bene i termini entro cui il “tuttologo statunitense” si muove. Affermare che Stark si limiti a “giustificare teologicamente il neoliberismo” è però riduttivo; infatti egli è soprattutto occupato a giustificare neoliberisticamente la teologia. È il caso di procedere con ordine. Possiamo dire meglio. Rodney Stark può considerarsi il fondatore della Teoria dell’Economia Religiosa. Questa è la concezione per cui quello religioso sarebbe un “mercato” assimilabile in tutto e per tutto a quello delle merci. Come in tutti i mercati, i vari consumatori acquistano beni, che qui sono i “beni religiosi” (i diversi credi) da aziende religiose in concorrenza fra loro (le religioni più o meno organizzate). In accordo con questo paradigma, la teoria sostiene che
– come per ogni altro mercato di beni materiali o simbolici, e contrariamente a quanto pensano alcuni teorici della secolarizzazione – anche per la religione (istituzionale) la concorrenza fa bene al mercato e, entro certi limiti, l’offerta alimenta la domanda.
A riprova di ciò, gli autori che operano nel solco di questa concezione mercatista tendono a far notare che
I paesi con un più ampio pluralismo religioso – cioè con la maggiore concorrenza fra imprese religiose – come gli Stati Uniti […], sono anche i paesi dove il numero totale di praticanti religiosi si mantiene stabile o cresce.
Mentre,
Dove invece lo Stato ostacola il pluralismo religioso, opponendosi in particolare all’ingresso sul mercato di nuove imprese, bollate come «sètte» o come nemiche dell’identità nazionale, lì – come avviene in Francia e in Russia – il numero di praticanti religiosi in genere decresce in modo spettacolare.
In altri termini, la conclusione è “più mercato e meno Stato”, secondo il classico paradigma liberista. Questa posizione prevede due presupposti ed una assunzione implicita. Il primo presupposto è che l’aumento del numero dei praticanti le religioni sia un dato positivo e ricercato; il secondo presupposto è quello che il “consumatore”, l’attore che attua la sua scelta sul mercato delle fedi, sia “razionale” e conscio di ciò che acquista, insomma, che sia l’homo oeconomicus immaginato dalla economia neoclassica e che tende a massimizzare la propria utilità; l’assunto implicito della teoria è che le varie “aziende” religiose si facciano concorrenza cercando di soddisfare meglio delle altre gli acquirenti per i quali competono.
Le conseguenze sono varie. Accettati gli assunti di base, ne discende la necessità di una forte “liberalizzazione” del mercato religioso. Scrivono Stark e Iannaccone:
Nella misura in cui un’economia religiosa è competitiva e pluralista, i livelli complessivi di partecipazione religiosa tenderanno ad essere alti. Al contrario, nella misura in cui un’economia religiosa è monopolizzata da una o due imprese supportate dallo stato, nel complesso i livelli di partecipazione tendono ad essere bassi.
Insomma, sembra che il nemico del mercato religioso, come di ogni mercato, siano gli Stati; ciò perché si dà per scontato che le istituzioni statali favoriscano dei monopoli a danno della libera concorrenza, bollando i nuovi aspiranti concorrenti come “sette” o culti distruttivi. L’appeal che la Teoria dell’Economia Religiosa ha per alcuni apologeti dei culti trova ragione, ovviamente, in questa concezione ideologica che ri-etichetta la critica nei confronti dei culti abusanti come tentativo di soffocamento del libero mercato a favore di religioni monopoliste e protette da uno Stato pianificatore che le vuole salvaguardare dalla concorrenza. Si sottintende, quindi, che quella degli anti-sette sia un’attività interessata, operata da individui in qualche modo connessi con gli apparati statali e/o religiosi. Ovviamente, sono solo le grandi religioni organizzate quelle che possono avere delle pretese monopolistiche, non certo gli stati laici dell’Occidente, di cui la laicità è appunto valore fondante. Ciononostante, il movimento anti-sette non ha alcun rapporto con le religioni istituzionali, tanto da essere accusato di “laicismo”…
Al lettore profano dell’economia religiosa rimane, però, ancora insoddisfatta la curiosità di sapere in che modo le diverse religioni possano competere per soddisfare i consumatori meglio della concorrenza. La risposta è semplice: le religioni che soddisfano di più i clienti sono quelle più esigenti e restrittive. Uno dei divulgatori di questa concezione mercatista è Massimo Introvigne, il presidente del CESNUR. Questi sottolinea molto questo aspetto del miglioramento della qualità dell’offerta da parte dei competitori. Scrive, ad esempio:
[…] c'è una sorta di lotta darwiniana anche in campo religioso. Tendono a prevalere le proposte religiose più esigenti: tra gli ebrei gli ortodossi, nell’islam i fondamentalisti, e tra i cattolici i movimenti e le congregazioni più rigide.
La concorrenza selezionerebbe fedi più rigide e rigorose nel pretendere il rispetto degli obblighi, insomma, le versioni più integraliste e fondamentaliste. Questa selezione delle versioni estremiste si spiega col fenomeno dei free riders, che sarebbero, letteralmente, coloro i quali “viaggiano a sbafo”. Viaggia senza biglietto chi voglia ottenere i benefici di una impresa collettiva ma non vuole pagarne i costi. In ambito religioso l’impresa collettiva è una Chiesa o una confessione religiosa. Un’organizzazione può tollerare alcuni free riders, cioè affiliati poco impegnati, ma non troppi. Scrive Introvigne:
Nel campo delle religioni, le organizzazioni meno strict e rigorose, che impongono bassi costi di entrata e controllano in modo blando se i membri hanno pagato il biglietto, cioè se si impegnano sufficientemente, imbarcano un numero così alto di free rider da offrire ai loro fedeli un’esperienza religiosa annacquata e poco soddisfacente, (…) Le organizzazioni più rigorose fanno pagare un biglietto più costoso, e controllano che tutti lo paghino: dunque lasciano entrare meno free rider, e i beni simbolici prodotti da un gruppo dove i free rider non abbondano si presentano in genere come più soddisfacenti per i consumatori.
Se ne conclude che l’esito di questa benefica concorrenza fra religioni sia l’aumento del fervore e dell’impegno religioso, vale a dire, l’aumento di ciò che più è ostile alla concorrenza (in questo caso, di altri impegni e altri fervori). È una competizione che alimenta le pretese monopolistiche dei fondamentalismi, i quali sono incompatibili per definizione. È questa una incompatibilità che non può comporsi e non può armonizzarsi in un ecumenismo proprio in virtù della rigidità selezionata dal mercato.
In conclusione, un eventuale esponente di una visione spirituale conservatrice e che volesse renderla più forte, dovrebbe lavorare al fine di salvaguardare la permanenza sul mercato anche di tutte le altre fedi, difendendo a spada tratta perfino i gruppi spirituali più discussi (ad es. Scientology). Con ciò otterrebbe il duplice effetto di rinforzare la propria “Verità” incontrovertibile passando al contempo – paradossalmente – per un difensore della libertà di culto.
QUINDI
Il primo motivo per cui dei religiosi poco propensi all'ecumenismo possono perseguire la liberalizzazione del mercato delle fedi è che essi ritengono che la concorrenza permetta, non solo la non ingerenza dello stato nella propria fede, ma perfino l'incremento e la radicalizzazione di quella fede stessa.
2. La dottrina della duplice verità
Un secondo motivo per cui dei cattolici tradizionalisti si fanno fautori della "libertà religiosa" dipende da un concetto semplicissimo, ed è la menzogna. Sembra elementare e perfino ingenuo affermare che il CESNUR e le organizzazioni nelle quali trovano posto i vari personaggi che di quel centro studi sono espressione fingano la loro preoccupazione ecumenica per la libertà religiosa e attenzione per i diritti umani. Immaginare che basti, come ipotizzato da alcuni, il profitto prodotto dai servigi prestati a Scientology o ad altri culti a giustificare l'ipocrisia degli apologeti religiosi è banale. La precedente trattazione sulla Teoria dell'Economia Religiosa è esemplificativa, infatti, di come la logica dietro a comportamenti paradossali possa essere molto più fine.
Procediamo con ordine. Come lo stesso Introvigne scrive in un articolo su "Cristianità", i riferimenti culturali di Alleanza cattolica sono stati il francese Jan Ousset e il brasiliano Plinio Corrrea de Oliveira. A sua volta, la discendenza del CESNUR da Alleanza Cattolica è un dato incontrovertibile, in quanto lo stesso fondatore Introvigne ha ammesso che il CESNUR nacque su impulso di Alleanza Cattolica quale risposta apologetica nel quadro della lotta "fra rivoluzione e contro-rivoluzione". In altre parole, l'albero genealogico del CESNUR vede i suoi antenati più prossimi nei citati autori cattolici tradizionalisti.
Ousset fu fondatore de La Cité catholique, un'associazione cattolica controrivoluzionaria il cui obiettivo non era la politica attiva ma la pre-politica. L'organizzazione si basava sull'infiltrazione delle élite, le uniche in grado di guidare la riconquista di una società in difficoltà. Il gruppo identificava nella "sovversione" la radice di tutti i mali e il nemico della civiltà. La sovversione (dell'ordine cristiano, della legge naturale e del disegno del Creatore) aveva le sue origini nella Rivoluzione francese.
Le elaborazioni della Cité catholique ispirarono un'associazione nata pochi mesi prima a Madrid sotto la protezione del governo fascista di Franco, l'OAS (Organisation armée secrète). L'OAS era un'organizzazione paramilitare clandestina francese attiva durante la guerra d'Algeria e aveva come slogan "Algeria francese o morte". Ha causato circa 1.500 morti in quindici mesi attraverso attacchi terroristici di inaudita ferocia.
La vicinanza del tradizionalismo cattolico agli omicidi e agli attentati terroristici può sembrare strana, ma qui sta l'aspetto più interessante. Negli ambienti cattolici legati alle gerarchie militari, ad esempio, la pratica della tortura in Algeria era considerata degna di assoluzione sulla base del pensiero di Aristotele, Tommaso d'Aquino e Agostino d'Ippona. Louis Delarue, cappellano di un'unità dispiegata in Algeria, diceva che bisognava scegliere tra due mali, e far soffrire temporaneamente un bandito che meritava la pena di morte era il minore.
Probabilmente la migliore giustificazione è fornita dalla dottrina del doppio effetto di San Tommaso d'Aquino: "Il male prodotto da un'azione diretta al bene non invalida la moralità dell'azione stessa".
Abbiamo quindi a che fare con i seguenti elementi chiave: elitarismo, pre-politica (opera di influenza culturale sull'élite), controrivoluzione e giustificazione di azioni riprovevoli attraverso elucubrazioni filosofiche (soprattutto San Tommaso). Torneremo su questi elementi.
L'altro riferimento di Alleanza Cattolica è Plinio Correa de Oliveira, con la sua Tradizione, Famiglia e Proprietà. Il suo libro "Rivoluzione e Contro-rivoluzione" è stato il manuale di formazione degli aderenti a AC. È noto che la TFP conduce la stessa lotta che Pisset conduceva contro la modernità, che de Oliveira definisce non come "sovversione" ma come "rivoluzione".
Secondo lo storico Orlando Fedeli, che ne è stato membro per trent'anni, Tradizione, Famiglia e Proprietà sarebbe un culto millenario e gnostico. Infatti, avrebbe una dottrina esterna e un insegnamento segreto riservato ai livelli più alti della conoscenza.
Gli insegnamenti "esoterici" di De Oliveira, che si possono leggere anche nella rivista "Dr Plinio" diretta da monsignor João Scognamiglio Clá Dias, si concentravano sulla "superiorità metafisica" della nobiltà, soprattutto quella terriera sudamericana. Si può notare come questo ricalchi fedelmente sia la gerarchia platonica sia l'idea gnostica di salvezza riservata ai soli "spirituali" (e di condanna in parte per gli "psichici" e interamente per gli "ilici"). L'antiegalitarismo della TFP genera negli attivisti un disprezzo per la classe, un gusto per il lusso e l'ozio.
Nel rapporto Joyeux sulla scuola TFP di Saint Benoit, leggiamo che la durezza di cuore e l'odio palese per la gente comune caratterizzano il comportamento quotidiano della maggior parte degli attivisti TFP. Tutto ciò che è lusso, sfarzo e ozio è visto come controrivoluzionario e scatena un senso di orgoglio che deriva dal sentirsi appartenenti a un'élite destinata. Infatti, poiché la mentalità rivoluzionaria è caratterizzata da una virulenta esaltazione del pauperismo, la TFP agisce affermando sistematicamente il contrario.
Per capire l'elitarismo di De Oliveira, basti sapere che non ha mai sostenuto l'"integrismo", la versione brasiliana del fascismo, perché lo considerava troppo "interclassista" e "socialista" e poco aperto alle esigenze della superiorità metafisica dell'aristocrazia terriera.
Sappiamo che a un certo punto è stato utile per la TFP lavorare con rappresentanti e associazioni del conservatorismo americano come Paul Weyrich e il Council for National Policy (CNP). Si tratta di un'organizzazione segreta, descritta dal New York Times come "un club poco conosciuto di alcune centinaia di conservatori più influenti del Paese", che si riunisce tre volte l'anno a porte chiuse in luoghi non rivelati per una conferenza riservata.
Nel periodo in cui la Conferenza episcopale brasiliana accusava la TFP di non essere in comunione con la Chiesa di Roma, de Oliveira e i suoi seguaci acquisivano una visione che vedeva l'America cristiana come l'unica forza controrivoluzionaria in grado di rispondere al secolarismo europeo, frutto della Rivoluzione francese, e alla "marxistizzazione" della Chiesa latina, che si era spinta fino alla critica della tradizione.
Anche le sue consorelle europee, come Alleanza Cattolica, hanno preso la stessa posizione, unendo i loro sforzi nella lotta contro il secolarismo al mondo del neoconservatorismo americano e abbracciando la difesa della libertà religiosa.
Emanuele del Medico scrive in relazione ad Alleanza Cattolica:
Gli obiettivi che questo «apostolato controrivoluzionario» si prefigge riguardano soprattutto la lotta contro il laicismo, la riscrittura della memoria storica, il controllo della produzione ideologica della destra italiana attraverso la creazione di una ristretta élite intellettuale che dia successivamente vita alla futura classe dirigente. L’«instaurazione della regalità di Cristo anche sulle società umane» si esprimerebbe nel ripristino delle gerarchie tradizionali, nel contesto di una società d’ordine, dove la religione ritornerebbe ad assumere un ruolo preponderante di controllo sociale e legittimazione del potere politico ed economico [...] Il progetto sotteso non consiste tanto nel tener alta la bandiera del tradizionalismo cattolico, bensì nella fondazione di una destra neoliberista iperconservatrice sul modello di quella statunitense. Per favorire la sua politica di entrismo, oltre alla rivista «Cristianità» e alle omonime edizioni, il gruppo si servirebbe di alcune organizzazioni apparentemente slegate ma gestite da suoi uomini. Ne è un esempio il Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni) diretto da Massimo Introvigne, uno dei cinque «consultori» del sinodo di Alleanza cattolica.
Neretto mio. In definitiva, AC e CESNUR perseguono il progetto neoconservatore affrontandolo da una visione elitaria e perseguendo una politica di influenza culturale.
È quindi interessante dare uno sguardo alle radici dell'idea che Introvigne e i suoi hanno abbracciato con tanta passione, ovvero il movimento neoconservatore americano. Leo Strauss ne è ritenuto, a torto o a ragione, l'ispiratore. Questi era convinto che tutti i grandi autori scrivessero in forma camuffata per il volgo, una forma "essoterica", e fosse necessario trovare gli indizi della verità "esoterica" fra le righe. Questa verità, riservata a coloro che possono sopportarla, come gli allievi scelti dal maestro (da lui ribattezzati "opliti"), consisteva nella consapevolezza nichilistica che l'unica verità è il nulla e che tutti i principi morali sono vacui e insensati. Il messaggio "essoterico", esterno, invece, consisteva proprio in questi "valori morali naturali". L'autentico filosofo deve disprezzare le credenze del volgo, ma in pubblico, deve fingere di credere ai miti e alla illusioni orditi ad uso delle moltitudini, dissimulare tale disprezzo e, anzi, farsi vocale fautore dei valori morali atti a gestire le masse: religione, democrazia, giustizia.
Ancora una volta lezioni riservate agli eletti, elitarismo, controrivoluzione. Abbiamo lasciato il campo dell'influenza politica per la politica effettiva.
Strauss, facendo propria una prospettiva antiegualitaria e aristocratica simile a quella di de Oliveira, entra in polemica con la modernità e le concezioni di tipo democratico recuperando esplicitamente la “nobile menzogna” platonica e affermando l’esigenza dell’uso delle religione quale strumento retorico di manipolazione e dominio sulla massa.
È la dottrina della "doppia verità", la cui prima legittimazione è la nozione platonica di "nobile menzogna". Nella "città ideale" di Platone, l'aristocrazia dello spirito e del pensiero è legittimata a usare l'inganno per scopi morali, educativi e politici. Nel III libro de "La Repubblica" egli scrive:
[...] Dio, quando vi ha formato, ha mescolato l'oro nella generazione di coloro che tra voi sono in grado di esercitare il potere, in modo che siano i più preziosi; in quella delle guardie, l'argento; il ferro e il bronzo in quella dei contadini e degli artigiani.[...] la città perirà quando sarà protetta da un difensore di ferro o di bronzo.
I membri della TFP si sentono d'oro, probabilmente anche quelli dell'AC. Così, nell'evidenziare la doppiezza del CESNUR, il suo essere un front office di un'organizzazione cattolica tradizionalista e, allo stesso tempo, un centro che produce azioni a favore dei culti più lontani dal cattolicesimo, non stiamo parlando solo della banale menzogna del mercenario assoldato dai culti, ma anche di quella degli eletti legittimati alla nobile menzogna e alla doppia verità.
Non sorprende che si trovi moralmente praticabile il ricorso "ad usum populi" alla nobile menzogna di professare i valori della società democratica e liberale che interiormente si disprezzano. Che questi valori essi li disprezzino è evidente dalla più volte richiamata genealogia del CESNUR. Che quello di porsi come difensori della libertà religiosa sia una impostura legittimata lo si capisce ragionando sul platonismo intrinseco a detta genealogia.
L'esperto di guerra non convenzionale Jeffrey M. Bale, del Middlebury Institute of International Studies, mette in evidenza la doppiezza del CESNUR definendolo il caso più importante di organizzazione che esteriormente promuove agende politiche e religiose in nome delle libertà religiose e democratichema che in realtà , "mirano in realtà a difendere gruppi estremisti, totalitari ed anti-democratici dalle indagini, dalle critiche e da eventuali repressioni statali e, più in generale, a resistere o addirittura ricacciare indietro l'umanesimo laico, il liberalismo ed il modernismo in Occidente" (si veda la settima parte del report).
Per gli italiani, un esempio eccellente di questa doppia verità si può vedere lungo la linea AC-CESNUR: Nel 1994, il fondatore di Alleanza Cattolica, Cantoni, scrisse un appello intitolato "Fermiamo il Partito Radicale di massa". Si riferiva a un noto movimento politico italiano, il Partito Radicale fondato da Marco Pannella. Questo partito si caratterizzava per la promozione di un forte liberalismo sia in campo economico che in quello dei diritti civili (divorzio, aborto, omosessualità, liberalizzazione del traffico di droga, ecc.) Secondo Cantoni, tutti i partiti progressisti e laici formavano un "Partito Radicale di massa" a cui i cattolici dovevano rispondere. Il Partito Radicale diventava così l'incarnazione del nemico. Anni dopo, gli eredi di Cantoni hanno unito le forze con i membri del Partito Radicale per difendere la libertà religiosa. Nel 2012, ad esempio, il presidente del CESNUR, Luigi Berzano, ha pubblicato un volume contro la proposta di legge sul reato di manipolazione mentale il cui contributo più rilevante è stato quello di Mauro Mellini, che era uno dei nomi più importanti del Partito Radicale. Altri contributi furono quelli di Massimo Introvigne, allora leader di Alleanza Cattolica, oltre che del CESNUR, e di Fabrizio d'Agostini, esponente di spicco di Scientology e fondatore della Federazione Europea per la Libertà di Credenza (FOB). Si tratta della stessa organizzazione nel cui comitato scientifico è presente la moglie di Introvigne e tra i cui fondatori figura un esponente del Partito Radicale, un certo Camillo Maffia.
Se l'osservazione "il fine giustifica i mezzi" sembra banale e irrispettosa della sottigliezza del pensiero di Introvigne, la logica di questi tradizionalisti, che conducono una guerra contro la laicità in compagnia dei paladini della laicità, è forse meglio descritta dalla già citata dottrina del doppio effetto di San Tommaso d'Aquino: "Il male prodotto da un'azione diretta al bene non invalida la moralità dell'azione stessa".
Si può quindi concludere che la ragione per cui dei cattolici tradizionalisti, antiecumenici per natura, perseguono la liberalizzazione del mercato religioso si basa su una concezione elitaria che legittima l'uso della menzogna nei confronti del popolo come strumento retorico di manipolazione in nome di un bene considerato superiore. La falsa benevolenza nei confronti di culti anche abusivi (tanto ci pensa San Tommaso) è uno strumento per combattere il giacobinismo, cioè il laicismo alla francese, in altre parole la "rivoluzione" (o "sovversione", se preferite Ousset).
QUINDI
Il secondo motivo per cui dei religiosi possono perseguire la liberalizzazione del mercato delle fedi è una concezione elitista che legittima l'uso della menzogna quale strumento retorico di manipolazione al fine di un bene superiore.
3. la prospettiva differenzialista
Alcuni difensori di quelli che definiscono Nuovi Movimenti Religiosi risultano perfettamente omologhi ai fautori del differenzialismo culturale, la concezione politica che del liberalismo e dei diritti universali è la nemica più fiera e acerrima. La cosa interessante è che invece il differenzialista può apparire ad uno sguardo disattento come un democratico ed un liberale. Esattamente come un apologeta dei culti. Infatti, il differenzialista difende il “diritto alla differenza” di tutte le culture, vuole cioè la salvaguardia delle identità dei popoli. Benché questa possa apparire una affermazione di universalismo ed ecumenismo, il differenzialista è un nemico della società aperta. Questi pensa cioè che gli “stranieri” debbano rimanere tali, vivendo «tra loro» e mantenendo i propri riferimenti culturali e valoriali, perché loro “sono diversi” e tali devono restare. Egli ne difende il “diritto alla differenza” proprio per evitare che altre culture si mescolino o confluiscano nella sua. Si parla a tal proposito di razzismo differenzialista. Questo differenzialismo, che è difesa del proprio gruppo chiuso, difende gli altri gruppi chiusi dalle pretese della società aperta, cosicché questa non abbia ad interferire anche nel proprio gruppo. Dietro ai proclami libertari e rispettosi delle culture allogene, questa concezione mira al recupero ed alla difesa delle singole culture perché diventino contrappeso all’ideologia globalista; quindi proprio all’universalismo dei diritti umani.
Come non sorprende che i fautori del differenzialismo siano esponenti dell’estrema destra politica che coniano una propria incongruente versione di “multiculturalismo”, così non è strano che i difensori del “diritto alla differenza” delle “sette” siano spesso esponenti di visioni tutt’altro che ecumeniche che propongono la propria incongruente versione di “ecumenismo”. Questi, infatti, propongono un “multi-cultismo”, che è la versione mignon del multi-culturalismo della Nouvelle Droite, ma somiglia più alla pax mafiosa.
Ecco quindi che si ritrovano nelle medesime associazioni per la difesa della libertà religiosa esponenti dei culti più chiusi, illiberali e incompatibili. Membri d’alto grado di culti distruttivi noti alle cronache, cattolici tradizionalisti, satanisti, guru del sesso tantrico, fedeli di religioni che credono che chi non segue il loro credo sia dannato per l’eternità, micro comunità chiuse ed intransigenti, tutte insieme (appassionatamente) contro chi denuncia lo sfruttamento nei culti. In nome della società aperta. Face/Off.
QUINDI
La difesa che gli apologeti religiosi fanno del diritto alla differenza è assolutamente analoga a quella delle culture allogene da parte dei fautori del razzismo differenzialista. Questi non ritengono affatto che tutte le idee, fedi e culture si equivalgano, ma propongono un “multiculturalismo” che permetta di salvaguardare le identità di ogni singola “cultura” in quanto questa legge generale comporta la salvaguardia della propria cultura in particolare.
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