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Lo specchietto dell’integralismo laico

Luigi Corvaglia

Io mi curvo sotto il peso della rassegnazione altrui.

A. Libertad


Un luogo comune ampiamente diffuso in questa triste stagione di dominio della neo-lingua orwelliana (quella per cui “la guerra è pace e la schiavitù è libertà”) afferma essere in corso una “offensiva laicista”. In altri termini, fra le banalità più pervasive dell’era del cretinismo come valore assoluto c’è la denuncia del paradosso per cui “i laici vogliono imporre la laicità“, quindi, che “i laici sono totalitari” (cosa che, in effetti, equivale a dire che “la pace è guerra”). Laicista è il termine comparso da qualche anno nel dizionario della neo-lingua proprio per definire il partigiano di tale supposto estremismo ateo, un fondamentalismo di segno uguale e contrario a quello clericale. Il laicista, infatti, vuole imporre a tutti la stessa morale. Insomma, per clericali, teo-dem e neo-con, i laici ed i libertari sarebbero contraddittori, intolleranti e assolutisti. Non sarebbe necessario spendere troppe parole per mettere in evidenza le fallacie di un argomento che si smonta alla minima applicazione cognitiva. Pochi, però, sembrano applicarsi. Il sistema perché il bue dia del cornuto all’ asino, in sostanza, è tutto nell’ utilizzo di sillogismi errati. La logica aristotelica viene truffata da sentenze espresse nella neo-lingua. Così, pretendere autonomia per sé e per gli altri, come fanno i laici, sarebbe praticare la “schiavitù“, mentre imporre agli altri “valori non negoziabili”, come vogliono i chierici, sarebbe libertà. Non ci si aspettano, del resto, prestazioni migliori da chi predica il monopolio ideatico e morale, perchè ciò viene fatto sulla scorta di un utilizzo a dir poco parsimonioso della logica. E’ però da rimarcare come il cretinismo montante abbia ormai fatto terra per porci anche del supposto fronte “laico”. Sentenze di simile tenore, infatti, sono spesso espresse dagli esponenti del buonismo post leninista, del kennedismo alla vaccinara, dell’ecumenismo luogocomunista, della sinistra del cilicio, della retorica del progressismo “tutti si e tutti ma”, del liberalismo de noantri. Perché – ci viene spesso chiesto, con aria gesuitica e malandrina, dai portatori sani di buon senso – tutto questo astio nei confronti delle pretese della Chiesa? Non sarete pure voi – dicono questi progressisti assennati, con la sufficienza di chi la sa lunga – degli intolleranti come rimproverate essere i cattolici? Vorreste forse imporre – parola che viene sardonicamente sottolineata con malizia – la vostra morale laica? A questo punto, forse, è il caso di spenderla qualche parola. Innanzitutto, una premessa: la libertà è un bene indivisibile, è, tecnicamente, un bene pubblico. Un bene si definisce pubblico quando, una volta disponibile, non è possibile non usufruirne (non escludibilità) e quando è indivisibile (la libertà non si fa a fette). Sicché, per quanto io possa essere egoista nel desiderare la mia libertà, perfino il mio voler secedere da qualunque ordinamento coercitivo, come farebbe un anarchico individualista, il mio egoismo può esprimersi in concreto solo nel desiderare la produzione di un bene pubblico, ossia la libertà per tutti; essa è co-condizione per il realizzarsi della mia. E’ qui che un lettore poco attento, forse sprovveduto, sicuramente prevenuto, potrebbe sottolineare un paradosso d’illibertarietà nel mio voler “imporre” la libertà a chi non la vuole. Ripeto, potrebbe farlo solo un lettore talmente poco avveduto che ignora che, se ogni “bene pubblico” presenta le caratteristiche di indivisibilità e non escludibilità, solo il bene pubblico “costrizione” viene realmente imposto. Infatti, proprio perché indivisibile, la costrizione non permette spazi di libertà neanche per chi non condivide la scelta costrittiva. Il bene pubblico “libertà”, di contro, proprio in virtù della sua non escludibilità, permette ogni cosa a tutti. Fra le cose che permette è inclusa la volontaria sottomissione alle autorità secolari, spirituali o morali liberamente scelte. Ciò per l’elementare cognizione, in possesso di chiunque sappia cosa sia una matrioska, che la forma più piccola rientra in quella più grande e non viceversa. Avere a disposizione un piccolo spazio, cioè, permette di muoversi ben poco; aver a disposizione un grande spazio permette un raggio d’azione molto maggiore, ma, è chiaro, non obbliga affatto a percorrere l’intero territorio. Ecco perché la laicità non ha nulla a che vedere con un integralismo ateo che, nella psicotica logica anti-laicista, rispecchierebbe quello clericale in termini di assolutismo. Imporre” libertà o costrizione, quindi, non sono atti equiparabili in termini libertari (oltre che logici). In definitiva, il coercitivo decide per sé e anche per gli altri, il libertario solo per sé. L’integralista cattolico, ad esempio, essendo ostile al divorzio, pretende di vietarlo a tutti, incluso a chi, non essendo portatore dello stesso orizzonte morale, vorrebbe divorziare. Il divorzista, per contro, pretende di essere libero di divorziare ma non impone affatto ad alcuno di farlo se non vuole. Solo il primo, quindi, mette in atto una reale imposizione, perché gli effetti indivisibili prodotti dal “bene” costrizione ricadono su ogni individuo costringendolo entro angusti limiti, che questi non ha autonomamente fissato. Quindi, il sillogismo anti-laico è errato perché la premessa principale “chi vuole imporre una concezione è un autoritario” è viziata dall’utilizzo improprio del concetto di imposizione. Avrebbero ragione i chierici di ogni ordine e grado solo se lo stato laico – o la libera organizzazione che lo avesse sostituito – imponesse per legge il divorzio ai coniugi litigiosi, l’aborto ai genitori di figli deformi, l’anticoncezionale a chi ha troppi figli, il matrimonio agli omosessuali che si amano, le adozioni a quelli che convivono, l’eutanasia a chi soffre senza speranze di guarigione, l’ateismo a tutti. Ma non è questa la pretesa del laico, proprio perché è laico. Si pone però il contrario. Lo stato teocratico vieta a tutti tutto ciò. Quello che gli piace è il bene per tutti, incluso chi non gradisce. Di contro, quello che è il bene a giudizio degli altri, se a lui non piace, non deve piacere neppure agli altri. E’ la stessa logica in base alla quale qualcuno potrebbe pretendere di vietare i carboidrati a tutti gli altri perché lui è a dieta. Il libertario non impone nulla, permette, il chierico non permette nulla, impone. Non esiste alcuna specularità dogmatica. Come diceva Gaetano Salvemini,

Il clericale pretende rispetto per sé in base al principio liberale, salvo reprimerlo negli altri in base al principio clericale.

Ciò andrebbe tenuto a mente ogni qual volta un prete o un guru si appella ai principi liberali. Infatti, se ritiene necessario farlo è molto probabile che siano proprio quei principi che egli sta mettendo in pericolo. Altrimenti, nessun culto è a rischio in una società laica.

Allora, perché tanto astio, mi chiedeva l’amico di buon senso, quello del giusto mezzo che è sempre giusto perché è proprio in mezzo? Perché, in definitiva, l’atteggiamento di acquiescenza del soggetto prono ai diktat di entità sovrapersonali non incide solo sul suo status, ma produce effetti indivisibili, esternalità, dicono i giuristi, anche nei miei confronti. Ciò consolida, di fatto, il potere dei titolari della coercizione non solo nei suoi confronti, ma anche nei miei. Egli, decidendo per sé, decide per me. Sicché chi dà consenso alla coercizione è avversario della libertà, mia e di chi la pensa come me, non meno di chi la coercizione la pratica. Perché tanto astio, amico assennato? Perché – ora dovrebbe essere chiaro – chi dà il consenso alla coercizione è mio avversario non meno di chi mi punta una pistola alla tempia.


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