Colin Ward. L'anarchia. Un approccio essenziale (Eleuthera, Milano, 2008, II Ed. 2020)
Luigi Corvaglia
Un approccio pestilenziale
Robert Wolff, autore la cui unica ragione di menzione risiede nel merito storico di essere stato il primo difensore “accademico” dell’idea anarchica, trova stranamente posto fra i personaggi citati nel libello di Colin Ward appena pubblicato da Eleuthera, L’ Anarchia. Un approccio essenziale. Quest’operetta che rende onore al suo sottotitolo per essere, appunto, smilza, essenziale, schematica, vorrebbe essere una sorta di Bignami dell’anarchismo, utile per un primo approccio del profano alle concezioni anarchiche. Ciò che stupisce, però, è il livello qualitativo di un’opera che, pur avendo così limitati fini e delimitati confini, imbarazza quanto a semplificazioni ed imprecisioni, soprattutto considerando la statura dell’autore, uno dei più celebrati anarchici contemporanei. L’architetto inglese, infatti, riesce a citare appena un gigante come Malatesta, liquida l’individualismo, senza neppure nominare, che dire, Armand, afferma di non aver mai letto Stirner (“l’ho sempre trovato incomprensibile”, pag. 79) ma di averne un pregiudizio basato su una lettura nietzschiana. Non solo, nel suo compendio, Ward appiattisce il problema penitenziario al luogo comune borghese che accoglie un’idea essenzialista del crimine (“il carcere non fa nulla per ridurre il numero di reati”, con tanto di citazione del Segretario di Stato di Margaret Tatcher, pag. 61) e riduce il programma anarchico ad un federalismo che esalta l’Europa delle Regioni dei movimenti, spesso destroidi, che rivendicano diritti secessionisti in seno ai parlamenti sovranazionali (pag. 103). In compenso, cita l’incolpevole Wolff. Il bello è che lo fa assolutamente a sproposito, assimilandolo all’anarco-capitalismo, corrente di pensiero che l’autore sembra conoscere quanto chi scrive conosce il sanscrito. Ora, poche cose si possono dire del povero Wolff, non trattandosi di un pensatore ma di un divulgatore, ed una di queste, al limite, è che il suo anarchismo è un po’ annacquato da ipotesi di democrazia (diretta?) elettronica. Farne un apologeta dell’anarchismo di mercato o anche semplicemente un esponente dell’indirizzo individualistico, però, è francamente delirante. Significa, ad esempio, ignorare che questo autore minore del pensiero libertario si è definito “in politica anarchico, in religione ateo, in economia marxista”. Uno così, nei club anarco-capitalisti non lo farebbero neppure entrare. Quei clubs, quegli ambienti che tanto autore liquida affermando, con inappropriato snobismo, essere popolati da “accademici, non attivisti sociali” la cui “inventiva sembra limitarsi a fornire le basi ideologiche a un capitalismo mercantile libero da ogni vincolo” (pag. 88). Bene, se critiche la teorizzazione anarco-capitalista merita – e le merita – queste sono ben altre rispetto a quelle evidenziate da Ward (e che sarebbero condivise dal “marxista” Wolff..) e che fanno del pensiero libertarian esclusivamente una sorta di baluardo a difesa dei privilegi delle classi dominanti, una sorta di esagerazione del “liberismo” attuale, oggi fortunamente frenato dalle benefiche strutture dello Stato (si arriva a dire anche questo…). Che poi l’autore vanti Proudhon, Warren, Spooner, Tucker e altri apologeti del libero scambio rientra solo fra le contraddizioni di questo autore che appare ormai confuso e che pure, in apertura del suo prescindibilissimo volumetto, scriveva “nell’evoluzione delle idee politiche, l’anarchismo può essere visto come una elaborazione estrema sia del liberalismo che del socialismo, e le diverse correnti del pensiero anarchico possono essere correlate all’enfatizzazione dell’una o dell’altra” (pag. 9). Ward, enfatizza, secondo lui, il socialismo, e ritiene, come la buona maggioranza degli anarchici di specchiato pedigree “di sinistra”, di possedere quella superiore moralità che permette e quasi impone di ergersi a censore di chi manifesta opzioni meno assolutiste, anche quando ciò è palesemente falso, come nel caso di Wolff, e anche quando la purezza incontaminata che si intende difendere dalle infiltrazioni liberali è una sciapita versione d’anarchismo doroteo, quella che può trovare la ragione della non affermazione dell’idea anarchica nel fatto che, in passato, “una minoranza di anarchici” ritenne praticabile l’uccisione di monarchi e dittatori (pag. 19). Che tristezza vedere l’anarchismo dibattersi fra la destroide Scilla del conservatorismo morale pseudo-liberale dell’anarco-capitalismo e la sinistra doppia Cariddi rappresentata dall’ impotentia coeundi dell’anarchismo pseudo-intellettuale da salotto, da una parte, e dal priapismo troglodita dell’insurrezionalismo, dall’altra.